L'autofagia ,dal greco, ''mangiare se stessi'', è un processo catabolico, uno dei meccanismi fondamentali della biologia alla base di malattie autoimmuni e degenerative che permette alle nostre cellule di riciclarsi e rinnovarsi.

Il biologo giapponese Yoshinori Oshumi, insignito del Nobel per la Medicina, è riuscito a osservare i dettagli di questo processo nel lievito usato per fare il pane.
"L'autofagia fornisce rapidamente carburante, energia e i mattoni fondamentali per il rinnovamento dei componenti di una cellula. E' dunque essenziale per la risposta alle situazioni di mancanza di cibo o altri tipi di stress''.
In particolare, nei seguenti casi:
- dopo un'infezione l'autofagia permette di eliminare batteri e virus;
- quando una cellula si trova in uno stato di grave carenza di sostanze nutritive, sacrifica alcuni suoi elementi e così può dare tutta l'energia alle funzioni essenziali;
- un malfunzionamento dell'autofagia può causare malattie come il cancro o la degenerazione dei neuroni tipica del Parkinson.
L'autofagia può quindi favorire i meccanismi di resistenza dei tumori ai trattamenti: in questo caso, altro non è che un sistema che permette alla cellula tumorale di resistere allo stress causato dai trattamenti. La scoperta del ruolo dell'autofagia nei tumori ha già portato allo sviluppo di farmaci anti-cancro molto promettenti.
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L’autofagia è infatti stimolata anche da periodi prolungati in assenza di cibo. Nello specifico, sembra che un significativo aumento del flusso autofagico si abbia dopo le 18 ore di digiuno.
Un regime alimentare di questo tipo potrebbe anche aiutare coloro che litigano con la bilancia: il tempo limitato nel quale è consentito mangiare rende più difficile l’eccessiva alimentazione. Fondamentalmente quindi si tratterebbe di ridurre la frequenza dei pasti ad un solo pasto al giorno.
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